Mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo: Cassazione smentita
LA SENTENZA
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Seconda sezione CIVILE Nella causa civile iscritta al n. r.g. ……. promossa da:
[…] SRL (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. … e dell’avv. … (….) VIA ….; , elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. ….
ATTORE
contro
[…] (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. … e dell’avv. , elettivamente domiciliato in … presso il difensore avv. …
Il Giudice Luciana Breggia,
sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 20.01.2016, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Rilevato che la sig.ra ….. ha chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo per la somma di complessivi euro 30.800,00 asseritamente dovuti per canoni di locazione e indennità di occupazione dell’immobile di sua proprietà, oltre il rimborso delle spese condominiali;
rilevato che l’ingiunta propone opposizione al decreto ingiuntivo n. …../2015 formulando, altresì, richiesta di sospensione della provvisoria esecutività del predetto decreto;
rilevato che l’opponente indica quale grave motivo che giustifica la sospensione della provvisoria esecutività del provvedimento monitorio ex art. 649 cpc il pregiudizio che consegue all’esecuzione di un decreto ingiuntivo emesso per importi non dovuti;
che tra gli importi oggetto del decreto ingiuntivo quelli non dovuti, secondo l’opponente, sarebbero gli importi riferibili ai canoni del contratto di locazione intercorrente tra le parti del presente giudizio successivi al 31.12.2014 e le spese condominiali dall’ottobre 2013 fino alla data dell’effettivo rilascio dell’immobile, avvenuta il 5.5.2015;
che gli importi dei canoni successivi al 31.12.2014 secondo le difese dell’opponente non risulterebbero dovuti in quanto in data 31.12.2014 l’obbligo di restituzione dell’immobile de quo, conseguente alla risoluzione del contratto di locazione, sarebbe stato adempiuto dal conduttore con la consegna delle chiavi dei predetti locali alla Curatela del Fallimento ……. Srl; che le spese condominiali, inoltre, non risulterebbero dovute mancando il titolo di tale pretesa;
CONVENUTO
Osserva
Il Giudice ritiene che gli importi per i canoni richiesti col decreto ingiuntivo risultino, prima facie, dovuti in quanto la consegna delle chiavi da parte del conduttore alla Curatela non costituisce adempimento dell’obbligo restitutorio, non essendo la Curatela parte contrattuale del rapporto di locazione di cui sono invece parti la sig.ra …. e …. Srl.
Anche la pretesa circa le spese condominiali oggetto del provvedimento monitorio risulta, prima facie, fondata sul contratto di locazione de quo, in quanto espressamente previste a carico del conduttore ex art. 6 contratto di locazione (doc. 13 fascicolo parte opposta).
Si ritiene, dunque, che non sussistano i gravi motivi richiesti dall’art 649 cpc per la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo.
Va rilevato, altresì, che la materia oggetto della controversia del presente giudizio, introdotta col ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo n. …./2015, rientra tra quelle soggette all’obbligo del preventivo espletamento del procedimento di mediazione ex art. 5, co. I bis d.lgs. n. 28/2010 che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Trattandosi di ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo deve affrontarsi la questione controversa circa il soggetto che ha l’onere di avviare la procedura di mediazione dopo la pronuncia sulle istanze interinali; si tratta, in sostanza, di verificare se, in caso di improcedibilità per mancato avvio della mediazione, il decreto ingiuntivo oggetto di opposizione acquisti efficacia definitiva ed esecutiva (qualora ne fosse sfornito) ovvero se il decreto debba essere revocato in seguito all’improcedibilità dell’opposizione.
La recente sentenza della Corte di Cassazione – III Sez. Civile – n. 24629, del 3.12.2015, ha stabilito che l’onere di avviare la procedura di mediazione gravi sull’opponente. La SC sostiene che sarebbe contrario ad una logica di efficienza un’interpretazione che accollasse al creditore l’onere di effettuare il tentativo di mediazione “quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo”.
Il giudice non condivide le osservazioni della Cassazione. In realtà, la pronuncia non sembra tener conto dell’art. 5, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 28/2010 secondo il quale l’art. 5, comma 1 bis e 2, non si applica nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’ opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Quindi la base argomentativa della sentenza della SC risulta smentita dal quadro normativo e pertanto impedisce l’adeguamento alla funzione nomofilattica propria della Corte di Cassazione.
Non c’è dubbio infatti che la decisione della Corte di Cassazione sia venuta a dirimere una questione da molto tempo controversa in dottrina e giurisprudenza1: l’adeguamento all’indirizzo affermato dalla Corte di Cassazione sarebbe quindi coerente con gli obiettivi di garantire il più possibile la prevedibilità delle decisioni e la certezza, specie considerando le rilevanti conseguenze delle difformi interpretazioni (in tema di revoca o meno del decreto ingiuntivo nel caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione). Si tratta infatti di questione molto dibattuta e vi sono argomenti che possono sostenere diverse soluzioni, come anche riconosciuto in molte delle pronunce in materia. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione, nel caso di specie, non può svolgere la sua fisiologica funzione nomofilattica dal momento che è fondata su un presupposto non corretto: applicazione della condizione di procedibilità per la proposizione della opposizione al decreto ingiuntivo anziché nel momento successivo alla proposizione, una volta pronunciati eventuali provvedimenti interinali ex artt. 648 e 649 cpc.
Si ritiene altresì che il riferimento della SC alla funzione deflativa della mediazione sia fuorviante, perché attribuisce all’istituto una ragion d’essere diversa da quella sua propria. La mediazione infatti ha lo scopo di porsi come sistema di soluzione dei conflitti più adeguato, in alcuni casi, rispetto allo strumento giudiziario; è ovvio che in una situazione quale quella attuale, di concentrazione del contenzioso nel settore giudiziario, il buon esito delle mediazioni abbia anche un rilevante effetto deflativo: la deflazione è un effetto indiretto e non la causa.
Nemmeno risulta condivisibile l’affermazione secondo cui l’onere di iniziare la mediazione debba gravare sull’opponente perché questi intende scegliere ‘la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore’ , quasi configurando la mediazione come una sorta di punizione per chi ”intende precludere la via breve per percorrere la via lunga”. Tali osservazioni tradiscono lo spirito dell’istituto della mediazione che intende offrire vantaggi alle parti e non ostacolarle inutilmente rispetto all’accesso alla giustizia, ma tradiscono anche lo spirito della giurisdizione poiché la fase di opposizione non pare una via ‘ostacolata’ dal legislatore, ma un diritto (art. 24 Cost.; art. 101 cpc).
La risposta alla controversa questione non può che partire dalla ratio della previsione sulla condizione di procedibilità ex art. 5 comma I bis d.lgs. n. 28/2010. Dobbiamo cioè chiederci perché il legislatore abbia previsto una condizione di procedibilità con riferimento alla procedura di mediazione, condizione che deve considerarsi lecita, a patto che rispetti certi presupposti .
Viene in campo la funzione della mediazione: questo sistema stimola le parti a ricercare una soluzione più adeguata al loro conflitto rispetto alla rigidità della decisione giurisdizionale; inoltre, gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti.3 Molteplici sono gli interessi che possono essere soddisfatti, se le parti riescono a riprendere le fila del proprio conflitto: lo scopo della previsione della condizione di procedibilità non può che essere quello di un richiamo alle potenzialità dell’autonomia privata, rimesse in gioco nella sede mediativa, per evitare il procedimento giudiziario quando non sia davvero necessario. Da ultimo, parte della dottrina ha tentato anche una rilettura della condizione di procedibilità (preventiva o successiva) non solo nell’ambito della giurisdizione condizionata, ma anche in una prospettiva di maggiore equilibrio tra giurisdizione e mediazione (art. 1, Dir. 2008/52/CE). In tale prospettiva, la mediazione viene considerata strumento per favorire lo sviluppo della personalità del singolo nella comunità cui appartiene, consentendogli di confrontarsi in un contesto relazionale propizio per una soluzione amichevole. Accanto al diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost., diritto inviolabile della persona (ex art. 2 Cost.), andrebbe riconosciuto il diritto alla mediazione, non solo nell’ambito, tradizionalmente indicato, dell’accesso alla giustizia, ma anche quale espressione diretta dell’esigenza di sviluppo della persona nelle relazioni interpersonali e comunitarie, nell’attuazione del complementare principio di solidarietà. Una tale visione, che ha il pregio di porre in luce l’importanza della mediazione come strumento di pacificazione sociale condivisa e non imposta, fonda il diritto alla mediazione sull’art. 2 cost.
Mettere a fuoco lo scopo della condizione di procedibilità porta innanzitutto a considerare le pronunce di improcedibilità una vera e propria sconfitta dell’ordinamento. Lo scopo è infatti quello di richiamare l’attenzione della parte che intenda adire la giurisdizione se non vi sia in realtà un metodo più adeguato a soddisfare i propri interessi rispetto alla definizione eteronoma del conflitto.
In tale prospettiva, l’ obbligatorietà si giustifica solo come una specie di “quota rosa”: un’azione positiva – peraltro temporanea – a favore di una categoria di metodi di soluzione del conflitto che non ha lo scopo di favorire quel metodo, ma persegue l’interesse generale. E non c’è dubbio che in un ordinamento fortemente concentrato sul metodo giurisdizionale quale quello italiano, l’ apparente libertà di scelta (mediazione o processo) in mancanza di una previsione di obbligatorietà, sarebbe rimasta, appunto, solo apparente, non essendosi sviluppata una cultura della mediazione che consentisse alle parti una concreta – e non astratta – libertà di scelta.
In base a questo ragionamento deve concludersi che l’onere di attivare la procedura mediativa gravi sulla parte opposta. E’ infatti la parte opposta quella che ha deciso di portare in giudizio il proprio conflitto per la tutela di un suo diritto; ed è questa parte per prima che deve riflettere sulla possibilità di una più adeguata soddisfazione dei suoi interessi nel caso concreto attraverso strumenti più informali e duttili, o attraverso la ricomposizione di un rapporto di natura personale o commerciale.
La specialità del giudizio di ingiunzione giustifica la peculiare disciplina del giudizio di opposizione rispetto alla condizione di procedibilità: si consente di avviare subito l’opposizione per permettere l’intervento del giudice attraverso i provvedimenti interinali ex artt. 648 e 649 cpc. Una volta esaurita questa fase urgente, non vi è motivo per discostarsi dalla ricostruzione generale: chi intende agire in giudizio è onerato dell’avvio della mediazione, dunque è l’opposto che è attore, portatore del diritto o dell’interesse che ritiene compresso.
Come nota anche Trib. Firenze, sez. imprese, 17.1.2016 nella sua attenta critica alla decisione della SC sopra citata, proprio tale pronuncia conduce ad avvalorare questa conclusione nel momento in cui, dopo aver ipotizzato che l’opposizione sia condizionata ab origine (contro il dettato dell’art. 5, comma 4 cit.), sottolinea che successivamente, nel giudizio di opposizione, le parti riprenderanno ‘le normali posizioni delle parti: opponente -convenuto sostanziale; opposto- attore sostanziale’.
Se questa prospettiva è condivisa, perde di rilevanza l’argomento che fa leva sulla peculiare configurazione del procedimento monitorio e della fase di opposizione. Ad esempio, il fatto che il decreto ingiuntivo divenga esecutivo e acquisti efficacia di giudicato per effetto dell’estinzione del procedimento di opposizione (art. 653, comma 1 cpc) non appare pertinente: qui si chiede all’opponente di coltivare l’opposizione e dare impulso al procedimento con atti processuali: è un ragionamento tutto endoprocedimentale 4. Nel caso della mediazione, invece, la ‘sanzione’ dell’improcedibilità è collegata alla mancata ottemperanza all’obbligo di valutare la possibilità di riattivare la propria autonomia nella ricerca di un accordo con l’altra parte. Quest’obbligo è posto in primo luogo a carico di chi intende agire in giudizio per far valere una data pretesa, e dunque alla parte opposta: si ragiona anche al di fuori del processo, valutando se non sia meglio comporre il conflitto con una soluzione più mirata, flessibile e, ove possibile, rigenerativa di rapporti in una fase stragiudiziale.
L’improcedibilità ex art. 5 cit., in altri termini, non è connessa genericamente alla mancanza di attività processuale, ma alla mancata ottemperanza dell’obbligo di svolgere quell’attività fuori dal processo che potrebbe portare ad una soluzione più soddisfacente, con indiretti riflessi positivi sull’ordinamento (per questo il termine di cui all’art. 5 cit., non sembra avere natura perentoria ex art.152 cpc e nemmeno ordinatoria ex. art.154 cpc, dal momento che il termine non pare rivestire natura processuale perché volto non al compimento di atti processuali, ma unicamente a dare impulso ad una fase stragiudiziale di mediazione).
A maggior ragione deve ritenersi che l’onere di attivare la mediazione gravi sulla parte opposta proprio perché questa, in materia soggetta alla condizione di procedibilità, ha ritenuto non solo di non esplorare vie di definizione amichevole, ma addirittura di avvalersi di uno strumento particolarmente celere, con contraddittorio eventuale e differito. Sono ben comprensibili le ragioni che escludono tale strumento dall’onere della condizione di procedibilità, tuttavia, una volta che l’opposizione riconfiguri le posizioni ordinarie, sostanziali, delle parti rispetto alla pretesa, ben si giustifica la reviviscenza dell’obbligo di mediazione – nelle materie previste – in capo all’attore (sostanziale). Non si impone all’ingiungente di ‘coltivare l’opposizione’, come è stato osservato da chi segue l’orientamento opposto a quello qui accolto, ma si impone all’opposto l’attività e la connessa riflessione sui metodi a-giurisdizionali che il legislatore ha inteso porre a carico di chi voglia adire la giurisdizione.
In definitiva, se si parte dall’idea che la mediazione non abbia una primaria e diretta funzione deflativa e si chiarisce lo scopo dell’ improcedibilità di cui all’art. 5 d.lgs. n. 28/2010, deve ritenersi preferibile la tesi, tra quelle discusse in dottrina e giurisprudenza, che pone sulla parte opposta l’onere di avviare la mediazione dopo i provvedimenti ex artt. 642 e 649 cpc.
Resta anche escluso che possa rimettersi al giudice di valutare caso per caso quale sia la parte che sia onerata della condizione di procedibilità (così Trib. Pavia, 25.11.2015), perché la ricostruzione del sistema alla luce della ratio dell’ imposizione della mediazione (ex lege o iussu iudicis) vale per ogni controversia in modo uniforme e astratto, e non si ravvisano spazi per un potere discrezionale del giudice nel caso concreto.
Si ritiene, dunque, che si debba assegnare alla parte opposta il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione come previsto ex art 5, comma 1 bis, d.lgs. n. 28/2010.
Va sottolineato che per considerare avverata la condizione di procedibilità, devono essere osservati due importanti profili: I. la mediazione deve svolgersi con la presenza personale delle parti; II. Deve essere esperita effettivamente la mediazione: al riguardo si rinvia alle motivazioni di cui alle precedenti ordinanze di questo giudice del 19 marzo 2014, rg. 5210/2010 e 26.11.2014 rg.6277/2014 nonché alla giurisprudenza prevalente di merito (v. ex multis, Trib. Palermo, 16.7.2014, Trib. Rimini, ord. 16.7.2014, Trib. Bologna, 16.10.2014; Trib. Cassino, 8.10.2014, Trib. Monza, 20.10.2014, Trib. Siracusa, 17.1.2015, trib. Pavia, 9.3.2015, Trib. Milano, 7.5.2015).
P.Q.M.
Rigetta l’istanza formulata da parte opponente di sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo n. 3966/2015;
dispone l’esperimento della mediazione ex art.5, co.1 bis, D. lgs. 28/2010 e assegna termine alla parte opposta di quindici giorni per depositare la domanda di mediazione dinanzi a un organismo scelto dalle parti, avuto riguardo ai criteri dell’art. 4, I comma del d.lgs. 28/2010, salva la facoltà delle parti di scegliere concordemente un organismo avente sede in luogo diverso da quello indicato nell’art. 4 citato;
fissa udienza ex art. 420 cpc per il giorno 15.6.2016 ore 10.30 all’esito della procedura di mediazione;
precisa che per “mediazione” si intende che il tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti – anziché limitarsi ad incontrarsi e informarsi, non aderendo poi alla proposta del mediatore di procedere – adempiano effettivamente partecipando alla vera e propria procedura di mediazione;
invita le parti a comunicare preventivamente al Giudice l’eventuale esito positivo della mediazione per favorire l’organizzazione del ruolo.
Si comunichi. Firenze, 15.2.2016.
Il Giudice
dott. Luciana Breggia
Fonte: http://www.laleggepertutti.it/111772_mediazione-e-opposizione-a-decreto-ingiuntivo-cassazione-smentita#sthash.rNCw8ZFx.dpuf