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La conciliazione nel mondo moderno (II parte)

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La conciliazione così come è intesa al giorno d’oggi, ossia come modalità di risoluzione delle controversie, alternativa alla tutela giurisdizionale, volontaria e non vincolante in cui un terzo aiuta le parti a raggiungere un accordo, trae origine da alcuni studi sulla negoziazione portati a termine presso l’Università di Harvard negli Stati Uniti d’America all’inizio degli anni ‘70 e successivamente diffusasi nel mondo anglosassone. Anche in quei Paesi all’inizio l’istituto della mediazione finalizzato alla conciliazione si rese necessario come strumento per alleggerire il carico di lavoro dei giudici offrendo alle parti la possibilità di risolvere le controversie attraverso l’attività di una terza persona imparziale senza escludere la possibilità di far valere le proprie pretese dinnanzi al giudice nell’ipotesi in cui un accordo non fosse stato raggiunto.

Dagli Stati Uniti il metodo di risoluzione alternativa delle controversie si diffuse dapprima nel Nord Europa e successivamente in tutta Europa dove incominciavano a presentarsi le stesse problematiche di sovraccarico di lavoro dei giudici civili in precedenza avvertite oltre oceano. In Italia, prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 28/2010, l’istituto aveva avuto applicazioni marginali.

Il 2 luglio 2004 la Commissione europea ha adottato il codice di condotta per i mediatori, redatto da un gruppo di esperti, che stabilisce una serie di principi ai quali i singoli mediatori possono spontaneamente aderire. Il codice può essere applicato a tutti i tipi di mediazione in materia civile e commerciale. Gli organismi erano tenuti ad elaborare codici più dettagliati adatti allo specifico contesto in cui operano o al servizio di mediazione offerto. L’adesione al codice non pregiudica la legislazione nazionale né le regole che disciplinano le singole professioni.

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