PATROCINIO A SPESE DELLO STATO ANCHE NELLA MEDIAZIONE CIVILE

TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
II SEZIONE CIVILE
Il Presidente,
vista l’istanza dell’avv. , quale difensore di , per la liquidazione del compenso professionale a carico dello Stato;
Osserva
I. L’avv. ha presentato istanza volta ad ottenere la liquidazione del compenso per l’attività professionale svolta a favore della parte sopraindicata, ammessa al gratuito patrocinio con delibera del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Firenze del 7.1.2015.
Nella domanda per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, l’istante aveva premesso di voler iniziare una causa di scioglimento di comunione avanti al Tribunale di Firenze, specificando che la richiesta riguardava anche la procedura di mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1bis dlgs 28/2010.
Nella richiesta di liquidazione, l’istante specifica che la mediazione ha avuto esito positivo e si è conclusa con accordo; chiede pertanto che siano liquidate le spese con riferimento alle attività svolte con riferimento alla fase di mediazione obbligatoria preprocessuale, prodromica alla domanda di scioglimento di comunione.
II. È opportuno ricordare il provvedimento del 13.1.2015 emesso da questo Giudice, di cui per completezza si riporta la motivazione:
“[…] La questione che si pone è se il compenso professionale dell’avvocato che ha assistito una parte nella procedura di mediazione, prevista quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale1, possa essere posto a carico dello Stato.
Va premesso che la questione non è espressamente affrontata nella disciplina in materia di mediazione. L’art. 17 dl Dlg. 28/2010, al comma 5-bis, infatti, prevede che quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5 comma 2, all’organismo non sia dovuta nessuna indennità dalla parte che si trovi nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato ai sensi dell’art. 76 del t.u. sulle spese di giustizia (D.p.r. n. 115/2002). A tal fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, nonché a produrre la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
L’unica previsione riguarda dunque l’indennità che sarebbe dovuta all’Organismo; per quanto concerne il compenso all’avvocato, che deve obbligatoriamente assistere le parti nelle fasi di mediazione (art. 5 e 8 d.lgs. n. 28/2010), si rileva invece una lacuna che deve essere colmata in via interpretativa.
3. Il quadro normativo da esaminare non può che partire dall’art. 24 Cost.: dopo aver previsto, al primo comma, il diritto di agire a difesa dei propri diritti e interessi legittimi, si afferma, al secondo comma, che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento “. Il terzo comma prevede inoltre che “sono assicurati ai non abbienti con appositi istituiti, i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione.” Sul piano della legge ordinaria, l’art. 74 del D.p.r. 115/2002 prevede l’istituzione del patrocinio per il non abbiente, assicurato per il processo penale, nonché per il processo civile, amministrativo, contabile, tributario e per gli affari di volontaria giurisdizione quando le sue ragioni non risultino manifestamente infondate. L’articolo 75 del DPR. n.115/2002 (Ambito di applicabilità) prevede al primo comma: <<1. L'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse>>.
Secondo l’orientamento tradizionale, poiché le norme fanno riferimento al processo, si ritiene impossibile far rientrare nel gratuito patrocinio l’attività stragiudiziale: se anche vi fosse l’ammissione da parte del Consiglio dell’ordine, non sarebbe comunque possibile la liquidazione a spese dello Stato.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24723 del 23.11.2011, ha riaffermato che il patrocinio a spese dello Stato riguarda esclusivamente la difesa in giudizio non potendo coprire l’attività stragiudiziale2. Con la pronuncia, tuttavia, la Corte, richiamando un proprio precedente, fa salva una nozione estesa di attività giudiziale perché afferma che devono considerarsi giudiziali anche quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio (sulla base di tale presupposto, nella precedente decisione, era stato riconosciuto dovuto il compenso per l’assistenza e l’attività svolta dal difensore per la transazione della controversia instaurata dal medesimo).
Anche di recente, la pronuncia della S.C. del 19 aprile 2013, n. 9529 riconferma l’orientamento ricordato: l’attività professionale di natura stragiudiziale che l’avvocato si trovi a svolgere nell’interesse del proprio assistito, non è ammessa, di regola, al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto esplicantesi fuori del processo, per cui il relativo compenso si pone a carico del cliente. Tuttavia, se tale attività venga espletata in vista di una successiva azione giudiziaria, essa è ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato ed il professionista non può chiederne il compenso al cliente ammesso al patrocinio gratuito, incorrendo altrimenti in responsabilità disciplinare.
Dal principio affermato dalla S.C., si desume dunque che l’avvocato, il quale non può chiedere il compenso al cliente pena la sanzione disciplinare, deve poterlo chiedere allo Stato.
4. La cauta apertura della S.C. può agevolmente essere valorizzata e coordinata con la disciplina della mediazione obbligatoria introdotta dal d.lgs. n. 28/2010 perché, nei casi in cui il procedimento giudiziario (rispetto al quale la mediazione costituisce condizione di procedibilità) inizi o prosegua, l’attività dell’avvocato ben integra la nozione lata di attività giudiziale accolta dalla Corte, ossia di attività strumentale alla prestazione giudiziale e svolta in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentazione e difesa in giudizio.
5. Più problematico sembra il caso in cui la mediazione abbia avuto esito positivo: in tal caso, secondo alcuni, non avrebbe svolgimento nessuna ‘fase processuale’ nell’ambito della quale liquidare il compenso e non sarebbe possibile considerare il compenso per il difensore che ha assistito la parte in mediazione a carico dello Stato.
Un tale risultato pare paradossale dal momento che la liquidazione a spese dello Stato non troverebbe applicazione proprio quando il difensore ha svolto al meglio le sue prestazioni professionali, favorendo il raggiungimento dell’accordo in mediazione. E ciò anche se la mediazione è obbligatoria, come obbligatoria è l’assistenza dell’avvocato (art. 5, comma 1 bis e art. 8 d.lgs. n.28/2010). Ne deriverebbe un risultato irragionevole e di fatto una sorta di disincentivo rispetto ad un istituto che invece il legislatore sta cercando di promuovere in vario modo (in tale ottica si colloca anche la stessa previsione dell’obbligatorietà rispetto all’inizio del processo per un periodo limitato: art. 5, comma 1 bis, d.lgs 28/2010).
6. Il tema è certo delicato, anche perché liquidare a carico dello Stato un compenso non previsto da alcuna norma esporrebbe il giudice al rischio della responsabilità contabile. Si è rilevato anche che nel verbale di conciliazione le parti e rispettivi difensori possono disciplinare l’aspetto del compenso per i legali e inoltre questi potranno avvalersi della regola della solidarietà, ribadita dall’art. 13, comma 8 della nuova legge forense (n. 247/2012).
Il problema tuttavia è duplice: sicuramente vi è l’esigenza di riconoscimento e remunerazione dell’attività difensiva: coloro che accennano alla solidarietà intendono rassicurare sulla esigibilità del credito professionale, se non dalla parte non abbiente, almeno dall’altra parte grazie al vincolo della solidarietà. Tuttavia, in tal modo si finisce pur sempre di riversare sui privati (il difensore o la parte abbiente) un onere che dovrebbe essere sostenuto dallo Stato. Se infatti quest’ultimo mostra, con una serie di interventi, un chiaro favore verso forme non giurisdizionali di tutela nell’intento di offrire più vie di soluzione dei conflitti (dalla disciplina della mediazione a quella su arbitrato e negoziazione assistita di cui al recente d.l. n. 132/2014), anche la disciplina dell’aiuto ai non abbienti non dovrebbe più essere limitata all’aiuto nella sede giudiziaria.
7. Occorre allora valutare il movimento europeo di vasto respiro in cui si inscrivono gli interventi ricordati (al di là della loro concreta disciplina) e approfondire l’esegesi delle norme che vengono in campo per verificare la possibilità, già in base alla legislazione esistente, che la parte non abbiente possa usufruire dell’aiuto statale anche quando alla mediazione, dato l’esito positivo, non faccia seguito il processo.
Occorre dunque tentare di ricostruire il sistema alla luce della normativa in tema di mediazione, della Costituzione e delle fonti europee. Un’interpretazione sistematica e teleologica delle norme richiamate induce il Giudice a ritenere che l’art. 75 sopra citato comprenda sempre la fase della mediazione obbligatoria preprocessuale. Tale conclusione (che vale anche per la mediazione demandata dal giudice ex art. 5, comma 2 d.lgs. n. 28/2010) è sostenuta dalle seguenti considerazioni.
8. Innanzitutto la conclusione accolta trova elementi di sostegno nell’ambito del diritto eurounitario (a partire dall’art. 47 della c.d. Carta di Nizza, secondo cui <>) e della disciplina con cui l’Italia ha recepito la direttiva europea sul Legal aid, volta a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie frontaliere civili (Direttiva 2002/8/CE del Consiglio del 27/1/2003). L’art. 3 di tale direttiva recita: Art. 3. Diritto al patrocinio a spese dello Stato. 1. La persona fisica, che sia parte in una controversia ai sensi della presente direttiva, ha diritto a un patrocinio adeguato a spese dello Stato che le garantisca un accesso effettivo alla giustizia in conformità delle condizioni stabilite dalla presente direttiva. Il patrocinio a spese dello Stato è considerato adeguato se garantisce: a) la consulenza legale nella fase precontenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un’azione legale; b) l’assistenza legale e la rappresentanza in sede di giudizio, nonché l’esonero totale o parziale dalle spese processuali, comprese le spese previste all’articolo 7 e gli onorari delle persone incaricate dal giudice di compiere atti durante il procedimento. La direttiva estende il legal aid alle procedure stragiudiziali (art. 10).
Il d.lgs. 27.5.2005, n. 116, che ha recepito la direttiva, prevede all’art. 10 che << Il patrocinio è, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l'uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa>>.
Si tratta di disposizioni che concernono le controversie transfrontaliere, ma che offrono elementi ulteriori per avvalorare l’interpretazione qui accolta che estende l’aiuto legale alla fase pre-processuale, apparendo del tutto irrazionale e non conforme all’art. 3 della costituzione che il cittadino possa usufruire dell’aiuto statale per la lite transfrontaliera e non per quella domestica. E’ significativo che il Consiglio Nazionale Forense, nella circolare n. 25 del 6.12.2013, abbia espressamente richiamato la direttiva sul Legal Aid che ammette al beneficio anche le spese legali sostenute nel corso delle procedure stragiudiziali per sostenere che l’assistenza dei legali, obbligatoria per la mediazione preprocessuale e quella demandata dal giudice, debba rientrare nel patrocinio a spese dello stato.
9. Un ulteriore elemento, rispetto a quanto osservato, può essere tratto dalla riflessione sulla c. d. giurisdizione condizionata, che ricorre quando il legislatore impone alle parti di compiere una data attività prima di rivolgersi ai giudici, come appunto avviene con l’imposizione del tentativo preventivo di mediazione ex art. 5, comma 1 bis cit.. Il condizionamento della giurisdizione può ritenersi ammissibile in quanto non comprometta l’esperimento dell’azione giudiziaria che può essere ragionevolmente limitato, quanto all’immediatezza, se vengano imposti oneri finalizzati a salvaguardare <>: la sentenza della Corte Cost. n. 276/2000 in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione per le cause di lavoro4, ha affermato che il tentativo in questione soddisfaceva l’interesse generale sotto due profili: da un lato, perché evitava il sovraccarico dell’apparato giudiziario, dall’altro, perché favoriva la composizione preventiva della lite che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguito attraverso il processo. In sintonia con la nostra Corte costituzionale, anche l’importante decisione della Corte Giustizia eu 18.3.2010, Alassini c. Telecom (che indica le condizioni per ritenere conforme al diritto comunitario il tentativo obbligatorio di conciliazione, nella specie in tema di telecomunicazioni), afferma, tra l’altro, che <> (cfr. par. 63 della sentenza).
Sulla base di queste considerazioni, deve reputarsi che la connessione tra fase mediativa e processo, talmente forte da configurare una condizione di procedibilità, vada riconosciuta già in astratto. Non appare rilevante dunque che poi, in concreto, in base cioè al concreto risultato della mediazione, il processo non abbia più luogo perché divenuto inutile alla luce dell’accordo raggiunto. Questo è proprio lo scopo della connessione voluta dal legislatore, connessione che non è eliminata ma anzi esaltata proprio nel momento in cui il raggiungimento dell’accordo in mediazione rende inutile il successivo processo, assicurando quell’ interesse generale di cui parla Corte cost. n. 276/2000 citata. Il senso della connessione non sta nel fatto che la mediazione sia un antecedente cronologico delle fasi processuali, ma nella funzione della mediazione: questo sistema offre alle parti di ricercare una soluzione più adeguata al loro conflitto rispetto alla rigidità della decisione giurisdizionale; inoltre, gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti.5 Molteplici sono gli interessi che possono essere soddisfatti, se le parti riescono a riprendere le fila del proprio conflitto: in tutti i casi in cui questo avvenga e si concluda un accordo, la mediazione – obbligatoria – esaurisce la sua funzione rispetto al processo, che è quella di renderlo superfluo. Si tratta del massimo della connessione perché lo scopo della previsione della condizione di procedibilità non può che essere quello di un richiamo alle potenzialità dell’autonomia privata, rimesse in gioco nella sede mediativa, per evitare il procedimento giudiziario quando non sia davvero necessario.
In definitiva, la mediazione (obbligatoria) è sempre connessa e funzionale alla fase processuale anche se poi questa in concreto non abbia luogo.
Del resto, una parte della dottrina era giunta addirittura a ravvisare la natura paragiurisdizionale della fase di mediazione, rilevando come l’obbligatorietà della mediazione comportasse il suo inserimento in un unico macro-procedimento finalizzato alla tutela dei diritti (disponibili). Ed è interessante richiamare un’affermazione della Corte costituzionale, sia pure in un obiter dictum, nell’ambito di una pronuncia relativa all’impugnazione di una legge regionale veneta: la Corte ha avuto modo di affermare che il procedimento di mediazione obbligatoria previsto dal d.lgs. n. 28/2010, ”rientra nell’esercizio della funzione giudiziaria e nella sfera del diritto civile, giacché, con riferimento al caso di specie, condiziona l’esercizio del diritto di azione finalizzato al risarcimento dei danni da responsabilità civile e prevede ricadute negative per chi irragionevolmente abbia voluto instaurare un contenzioso davanti al giudice, nonostante fosse stata formulata una proposta conciliativa rivelatasi successivamente satisfattiva delle proprie ragioni”.6 Pur ritenendo improprio qualificare tout court la mediazione come attività para-giurisdizionale o giudiziaria, è tuttavia corretto porre in risalto – anche – la sua stretta relazione con il processo, quando sia prevista come obbligatoria.
In definitiva, un’interpretazione sistematica teleologica delle norme richiamate induce il Giudice a ritenere che l’art. 75 cit., secondo cui l’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal processo. Si tratta infatti di una procedura strettamente connessa al processo, dal momento che condiziona la possibilità avviarlo (o proseguirlo, per la mediazione demandata dal giudice); d’altronde nel caso di successo della mediazione, si realizza il risultato migliore non solo per le parti, ma anche per lo stato che non deve sostenere anche le spese del giudizio.
Tale conclusione inoltre è conforme alla direttiva europea sul Legal Aid ed è costituzionalmente orientata (art. 3 Cost.), perché sarebbe irragionevole prevedere il sostegno dello stato per i casi di mediazione non conclusa con accordo e seguita da processo e negarla per i casi di mediazione, condizione di procedibilità, non seguita dal processo per l’esito positivo raggiunto. Così come sarebbe illogico riconoscere il gratuito patrocinio per le procedure derivative e accidentali e non per quelle non accidentali ma strutturalmente collegate al processo.
Da ultimo, può essere utile ricordare il tentativo della dottrina di rileggere la condizione di procedibilità (preventiva o successiva) non solo nell’ambito della giurisdizione condizionata, ma anche in una prospettiva di maggiore equilibrio tra giurisdizione e mediazione (art. 1, Dir. 2008/52). In tale prospettiva, la mediazione viene considerata strumento per favorire lo sviluppo della personalità del singolo nella comunità cui appartiene, consentendogli di confrontarsi in un contesto relazionale propiziatorio per una soluzione amichevole. Accanto al diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost., diritto inviolabile della persona (ex art. 2 Cost.), andrebbe riconosciuto il diritto alla mediazione, non solo nell’ambito, tradizionalmente indicato, dell’accesso alla giustizia, ma anche quale espressione diretta dell’esigenza di sviluppo della persona nelle relazioni interpersonali e comunitarie, nell’attuazione del complementare principio di solidarietà. Una tale visione, che ha il pregio di porre in luce l’importanza della mediazione come strumento di pacificazione sociale condivisa e non imposta, fonda il diritto alla mediazione sull’art. 2 cost.: anche tale richiamo può corroborare l’interpretazione qui accolta.
10. La conclusione raggiunta appare dunque l’unica conforme ai parametri costituzionali (artt. 2, 3 e 24 cost.) e adeguata al mutamento in corso dei sistemi di soluzioni delle liti: ancorare l’aiuto dello Stato solo al patrocinio in giudizio è frutto di una visione superata nella quale esclusivamente la giurisdizione statale era fonte di giustizia. Da molti anni le fonti europee ribadiscono che l’accesso alla giustizia non si riduce al ‘diritto a un tribunale’’ ma include l’accesso a procedimenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie che, in una prospettiva di ‘’giustizia plurale’, si pongono in rapporto di complementarietà rispetto alla giustizia giurisdizionale7.
Se oggi la tutela dei diritti non è affidata solo alle procedure giudiziarie, perché il legislatore introduce differenti metodi (da ultimo si veda il d.l. n. 132/2014 a proposito di negoziazione assistita e arbitrato), diviene un intervento indispensabile, sul piano della coerenza, ampliare l’aiuto da parte dello Stato dall’aiuto giudiziario all’aiuto giuridico, per chi ha bisogno di avere informazioni o consulenza legale o assistenza, in margine e al di fuori del processo (come nella maggior parte dei paesi europei).
Il sistema del ‘gratuito patrocinio’ dovrà essere ripensato da chi detiene il potere legislativo alla luce della disciplina di origine comunitaria e dovranno essere riconsiderati i casi di mediazione facoltativa o di negoziazione assistita8; per i casi di mediazione obbligatoria, quale quello in esame, esistono comunque spazi di interpretazione da sfruttare: il giurista ha il potere/dovere di conformare l’interpretazione delle norme esistenti alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento per sopperire lacune o adeguare le norme alle nuove condizioni storico-sociali.
In tale prospettiva, la garanzia costituzionale del diritto di difesa inviolabile ‘in ogni stato e grado’ (art. 24 cost.), per essere effettiva, deve contemplare anche la fase che, pur concernendo di per sé attività non giurisdizionale per la soluzione dei conflitti, è cos innestata nella giurisdizione da condizionarne le vicende: ‘in ogni stato’’ è dunque espressione che ricomprende lo stato pre-processuale o endoprocessuale che in modo obbligatorio deve essere attraversato dalle parti perché la giurisdizione possa regolarmente svolgersi. Per assicurare ‘’ ai non abbienti …. i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione” , è indispensabile riconoscere a carico dello stato anche il compenso del legale nella fase mediativa che condiziona necessariamente l’avvio del processo o la sua prosecuzione.
Tale interpretazione, che si ritiene costituzionalmente orientata, si riconnette anche all’esigenza che la mediazione sia effettiva e offra alle parti una reale chance di soluzione del loro conflitto9: l’esclusione del riconoscimento delle spese per il compenso di avvocato solo per i casi di mediazione non conclusa da accordo si presterebbe invece a concepire la fase mediativa come una fase da attraversare necessariamente, ma solo formalmente, per approdare al più presto al processo, nell’ambito del quale anche le spese stragiudiziali potranno essere riconosciute.
Sarebbe una conclusione che sminuirebbe la funzione della mediazione, ma anche della giurisdizione, che, invece, proprio per la sua natura sussidiaria, deve potersi esplicare pienamente ed efficacemente quando è richiesto lo ius dicere, anziché essere strumentalizzata per altri obiettivi. L’interpretazione adottata è inoltre l’unica che riconosce la delicata funzione di assistenza dell’avvocato della parte in mediazione, funzione che comporta un mutamento culturale epocale per l’avvocatura rispetto ai ruoli tradizionali confinati al campo giudiziario e che deve essere adeguatamente valorizzata.
A questo riguardo, va ricordato che proprio dal ceto forense a livello europeo proviene l’importante raccomandazione sul Legal Aid, adottata dal CCBE (Consiglio degli Ordini Forensi d’Europa) nel novembre 2010, al fine di promuovere il diritto all’accesso alla giustizia anche per le persone prive di mezzi. Tra le azioni raccomandate si specifica quella di <>10.
12. Non è fuor di luogo rilevare che, se dalle novità introdotte dal d.l. n. 69/2013 (tra cui l’assistenza obbligatoria del difensore e la re – introduzione della mediazione obbligatoria) non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (c.d. clausola di invarianza finanziaria: art. 85, comma 4, d. l. n.69/2013), l’interpretazione qui proposta appare del tutto rispondente a tale scopo: si tratta infatti di riconoscere il compenso del legale che ha assistito la parte in mediazione con esito positivo e dunque con risparmio per lo Stato rispetto alla fase processuale. […]”
III. Successivamente a tale pronuncia si è espresso sulla questione anche il Tribunale di Tempio Pausania, che, con ordinanza del 19.7.2016, ha ritenuto di non poter accogliere l’istanza de iure condito. Secondo il Tribunale mancherebbe il presupposto dell’esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio che, secondo quanto chiarito dalla Cassazione con la sentenza 24723/2011 permetterebbe di considerare giudiziali alcune attività stra-giudiziali. Inoltre, la carenza della fase giudiziale farebbe ritenere che ”la mediazione (in virtù dello stesso esito positivo avuto) avrebbe anche potuto svolgersi in via informale tra le parti, senza l’indispensabile adesione a un organismo di mediazione e l’assistenza di un legale”.
Il giudice ritiene di confermare l’orientamento già espresso con l’ordinanza del 13.1.2015.
Infatti, l’argomento secondo cui sarebbe necessario che il difensore sia munito di procura alle liti non pare determinante, anche alla luce della successiva sentenza della SC n. 9529/2013 nella quale si valorizza il nesso teleologico fra l’attività stragiudiziale e la successiva azione giudiziaria. In altri termini, è sufficiente una valutazione sostanziale di strumentalità dell’attività stragiudiziale volta a comporre un conflitto in vista (secondo le espressioni della sentenza da ultimo citata) della futura ed eventuale domanda giudiziale. Inoltre, non pare condivisibile l’accenno ad una ‘mediazione informale tra le parti”: a tacere di ogni altra considerazione, sembra che qui il Tribunale faccia riferimento ad una negoziazione diretta tra le parti e non alla mediazione, che presuppone invece necessariamente l’intervento del terzo: sostenere che le parti avrebbero potuto trovare l’accordo ‘da sole’ implica una non condivisibile svalutazione, a parere di chi scrive, della funzione del mediatore quale professionista specificamente formato per favorire la riattivazione della comunicazione tra le parti e facilitare il raggiungimento di un’intesa . Si tratta, a veder bene, anche di una svalutazione dell’intero sistema introdotto in Italia in tema di mediazione, strutturato in modo articolato e posto sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia.
IV. In base a quanto osservato, l’istanza è meritevole di accoglimento. La liquidazione deve avvenire sulla base dei parametri indicati degli artt. 18, 19, 20 e 21 del D.M. 55/2014 (attività stragiudiziale), considerando il valore medio con riduzione alla metà ai sensi dell’art. 130 D.P.R. n. 115/02. Considerando la natura dell’impegno professionale profuso da quanto emerge dalla documentazione allegata, appare congruo liquidare all’Avv. in relazione all’attività espletata la somma di euro 4320 per compensi (scaglione da euro 52.000,01 a 260.000,00 in base al valore della quota spettante al sig. desumibile dal contratto prodotto quale doc. 5), ridotti ad euro 2.160,00 ex art. 130 cit., oltre alle spese generali pari al 7%, oltre IVA e CAP.
P.Q.M.
CONFERMA in via definitiva l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di nel procedimento suindicato;
LIQUIDA in favore dell’Avv. per l’attività espletata in favore di nella procedura sopra indicata, euro 2.160,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 7%, oltre IVA e CAP;
MANDA alla Cancelleria per le comunicazioni.
Firenze, 13.12.2016
Il Presidente est. Luciana Breggia

Fonte: 101mediatori

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