TRIBUNALE DI VERONA, SENTENZA 13.5.2016

TRIBUNALE DI VERONA
SENTENZA

Repubblica
Italiana
In nome del popolo italiano

Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, sezione III Civile, Dott. Massimo Vaccari definitivamente pronunziando nella causa civile di grado promossa con atto di citazione notificato in data 14 maggio 2014
da
M. BA. (C.F.) rappresentata e difesa dall’avv.to B. E, presso il cui studio, sito in PIAZZA CORTE PALAZZO, 22 C. ATTRICE
contro
BANCA P., rappresentata e difesa dall’avv. S. A. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo, sito in V., VIATAZZOLI 6; CONVENUTA
RAGIONIDELLADECISIONE
M. Ba. ha convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale la Banca P. assumendo che il 12 maggio 2006 aveva concluso con l’agenzia di San Giovanni Ilarione di tale istituto di credito un contratto di negoziazione ricezione e trasmissione ordini su strumenti finanziari a firma congiunta con Maurizio C., un contratto di deposito a firma disgiunta con il predetto C.e un contratto di conto corrente di corrispondenza.
In pari data il C. aveva stipulato un contratto di servizi web in forza del quale aveva operato acquisti di titoli azionari appoggiati sul predetto dossier senza aver ricevuto nessuna delega da essa attrice e con la colpevole inadempimento dell’istituto di credito.
Per effettuare le predette operazioni di investimento il C. aveva utilizzato una provvista che per metà era di proprietà di essa attrice in quanto era stata prelevata dal succitato conto corrente di corrispondenza.
Ella non aveva sottoscritto i nuovi contratti di consulenza e di custodia ed amministrazione titoli e la profilatura cliente che nel giugno del 2008 la banca aveva fatto sottoscrivere al C. e aveva già disconosciuto ripetutamente le sottoscrizioni apposte in calce a tale documentazione e attribuitile Sulla scorta di tale prospettazione l’attrice ha avanzato domanda di declaratoria di nullità degli ordini di acquisto impartiti dal C. quale conseguenza della nullità del contratto quadro del 2008 e di conseguente condanna dell’istituto di credito al pagamento della somma di euro 70.050,000 pari alla metà delle somme fuoriuscite dal conto corrente di corrispondenza detratta la metà del valore attuale dei titoli.
In via subordinata l’attrice ha chiesto che venisse accertato l’inadempimento dell’istituto di credito agli obblighi derivanti a suo carico dalla disciplina speciale sotto il profilo della adeguatezza sia per tipologia che per dimensione degli acquisti In via di ulteriore subordine l’attrice ha svolto domanda di accertamento della nullità degli ordini di acquisto dei titoli eseguiti singolarmente dal in virtù del contratto web e di condanna della banca alla restituzione di quanto illegittimamente prelevato dal conto corrente.
La banca convenuta nel costituirsi in giudizio, dopo aver precisato che il C. era il marito della M. ed era cointestatario anche del conto corrente sopra richiamato, ha resistito alle domande avversarie sulla scorta di puntuali deduzioni soprattutto in punto di fatto. Ciò detto con riguardo alle prospettazioni delle parti e all’iter del giudizio, le domande attoree sono infondate e vanno rigettate. Deve innanzitutto evidenziarsi come, a seguito delle difese della convenuta la attrice, nella memoria ai sensi dell’art. 183 VI comma n.1 cp.c abbia mutato in maniera significativa la propria prospettazione in punto di fatto e anche le proprie domande. Infatti in quell’atto per la prima volta ella ha assunto la nullità sia del contratto quadro (contratto di negoziazione titoli) del 2006 sia del contratto di conto corrente per difetto di forma scritta, sulla base dell’assunto che entrambi erano stati sottoscritti solo dai correntisti investitori, sebbene fino a quel momento (cfr. esposizione di cui all’atto di citazione) la M. avesse dato per presupposta la loro piena validità.
In conseguenza di tale nuova prospettazione la attrice ha avanzato domanda di declaratoria di nullità del predetto contratto quadro e di accertamento dell’inadempimento della convenuta agli obblighi ai quali era tenuta rispetto ad esso. Per contro ha mantenuto ferma la domanda di condanna al pagamento della somma di euro 70.050,000. Solo in via ulteriormente subordinata ha avanzato domanda di nullità del contratto quadro del 2008 e di condanna alla restituzione della somma di euro 29.675,51, pari al valore nominale dei titoli acquistati dopo il 23 giugno 2008 detratto il valore attuale degli stessi). E’ stata invece abbandonata la domanda relativa alla nullità degli ordini di acquisto effettuati dal C. in virtù del contratto via web.
Orbene, l’attrice, pur eccependo nella memoria succitata, la nullità del contratto di conto corrente per difetto di forma scritta non ha avanzato la conseguente domanda di nullità dello stesso così rendendo irrilevante ogni verifica istruttoria sul punto e giustificando il rigetto di tutte le sue domande. Infatti solo una declaratoria di nullità del contratto di conto corrente in esame che, si noti, prevede la possibilità per i contitolari di operare disgiuntamente e quindi di disporre delle somme su di esso esistenti, avrebbe potuto comportare un giudizio di fondatezza delle doglianze attoree relative alle operazioni di investimento per cui è causa. In difetto di tale domanda giammai potrebbe addivenirsi ad una caducazione del contratto di conto corrente e va quindi escluso il diritto della attrice a ripetere la metà delle somme utilizzate per le operazioni di investimento per cui è causa atteso che tali operazioni devono comunque ritenersi valide essendo state effettuate sulla scorta di ordini sottoscritti dal C. e previa conclusione da parte dello stesso dei sottostanti contratti di deposito titoli e contratto di negoziazione, che sono stati da lui impugnati.
Per quanto attiene alla domanda subordinata di accertamento dell’inadempimento della convenuta occorre evidenziare come, anche in questo caso, con la memoria ai sensi dell’art. 183, VI comma n. 1, c.p.c., l’attrice abbia mutato la sua originaria prospettazione avendo precisato che tutti gli ordini di acquisto/prelievi di cui si duole sono successivi al 21 aprile 2008, precisando che essi sono avvenuti nel periodo dal 22 aprile all’8 maggio 2008 (pag. 1della memoria succitata).
Deve quindi ritenersi che, a seguito di tale significativa modificazione della originaria prospettazione, l’attrice abbia implicitamente abbandonato i rilievi di inadempimento contrattuale che ella aveva mosso alla convenuta in atto di citazione poiché essi riguardavano per la maggior parte gli acquisiti operati dal C. dalla data di accensione dei rapporti sopra citati (maggio 2006) fino alla data di conclusione del nuovo contratto quadro (giugno2008).
A quanto fini qui detto va aggiunto che in ogni caso l’attrice non ha fornito prova del quantum delle domande restitutorie e risarcitorie avanzate, nonostante la specifica contestazione sul punto svolta dalla convenuta già in comparsa di costituzione e risposta, atteso che non ha dimostrato che i titoli da lei indicati, e di cui al documento prodotto sub 16, si trovano tuttora nel deposito titoli sopra citato e nemmeno che il loro acquisto abbia comportato delle perdite e non già dei guadagni. Venendo alla regolamentazione delle spese di lite esse vanno poste a carico dell’attrice in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base del d.m. 55/2014.
In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva può essere determinato assumendo a riferimento i corrispondenti valori medi di liquidazione previsti dal succitato regolamento mentre quello per le fasi istruttoria e decisionale va quantificato in una somma pari ai corrispondenti valori medi di liquidazione, ridotti del 50 %, alla luce della considerazione che la prima è consistita nel solo deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c.. e nella partecipazione atre udienze mentre nella fase decisionale le parti hanno ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza. Peraltro nel caso di specie, è possibile applicare l’art. 4, co.8, del D.M. n.55/2014, potendo qualificarsi la difesa della convenuta come “manifestamente fondata”, secondo l’espressione utilizzata da tale norma. Essa invero è stata introdotta nel D.M. 55/2014 a seguito del recepimento dell’orientamento che il Consiglio di Stato aveva espresso nel parere n.161 del 18 gennaio 2013 sulla bozza di revisione dei parametri predisposta all’epoca dal Ministero. La norma in esame ha quindi previsto quella che lo stesso Consiglio di Stato ha definito, in quella occasione, come un’ipotesi di soccombenza qualificata, riconoscibile ex officio dal giudice, avente la duplice finalità non solo di “scoraggiare pretestuose resistenze processuali” ma soprattutto di “valorizzare, premiandola, l’abilità tecnica dell’avvocato che, attraverso le proprie difese, sia riuscito a far emergere che la prestazione del suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese avversarie” (così testualmente il richiamato parere del Consiglio di Stato e in termini pressoché identici la relazione ministeriale al d.m.55/2014).
Ciò chiarito sulla genesi della disposizione in esame, essa viene in rilievo, ad avviso di questo Giudice, nei casi in cui il difensore di una parte riesca a far emergere la fondatezza nel merito dei propri assunti, e specularmente l’infondatezza degli assunti di controparte, senza dover ricorrere a prove costituende e quindi solo grazie al proprio apporto argomentativo. Volendo esemplificare si può pensare ai casi in cui la causa risulti di pronta soluzione sulla base di prove documentali di facile intelligibilità ovvero perché involge questioni giuridiche relativamente semplici o ancora perché non vi è stata contestazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione. Nel caso di specie la difesa della convenuta ha fornito il contributo richiesto dalla norma in esame poiché nella memoria ai sensi dell’art. 183 VI comma n. 3 c.p.c aveva evidenziato come la causa fosse matura per la decisione. Il compenso spettante al difensore della convenuta, come determinato sulla base dei predetti criteri, può pertanto essere aumentato ai sensi dell’art.4, comma 8, d.m.55/2014. Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso alla convenuta spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15% della somma sopra indicata.
La convenuta va invece condannata ai sensi dell’art.8, comma 4 bis, d. lgs. 28/2010 al pagamento all’entrata dello Stato di una somma di euro 1.320,00, pari al contribuito unificato raddoppiato, dal momento che essa non ha partecipato senza giustificato motivo alle due successive procedure di mediazione promosse dalla attrice prima dell’instaurazione del giudizio e relative ad una controversia soggetta a mediazione obbligatoria. Va infatti escluso che integri la succitata circostanza impediente la scelta, quale quella compiuta dalla convenuta nel caso di specie (cfr. lettera del 29 agosto 2012 prodotta sub 4 dalla attrice con la quale la convenuta comunicò che non avrebbe partecipato alla mediazione), di disertare la mediazione in base alla convinzione dell’infondatezza degli assunti di controparte poiché una simile decisione costituisce, con tutta evidenza, una condizione non già oggettiva ma meramente soggettiva. L’applicazione della norma succitata poi prescinde dalla soccombenza in giudizio.
P.Q.M.
Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, rigetta le domande avanzate dall’attrice e per l’effetto la condanna a rifondere alla convenuta le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 11.316,50, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva e Cpa;
Visto l’art. 8 comma 4 bis d. lgs. 28/2010 condanna la convenuta a corrispondere all’entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 1.320,00.
Verona 13/05/2016
Il Giudice Dott. MassimoVaccari

 

Fonte: 101mediatori

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